Green guerrillas vs spazi pubblici. Quando la “lotta” si tinge di verde
Anna Uttaro (Facoltà di architettura di Alghero, borsista RAS)
Il presente contributo vuole proporre una riflessione sul tema delle azioni di guerrilla gardening come pratiche capaci di porre interrogativi sullo spazio pubblico contemporaneo. In queste pratiche il giardinaggio urbano diventa gesto politico, denuncia di degrado di uno spazio, rivendicazione di appartenenza e di cura, espressione di potenzialità di trasformazione.
Si tratta di azioni effimere, a carattere temporaneo, soprattutto se lette singolarmente. Gruppi di cittadini-attivisti si auto-organizzano ed entrano in azione, preferibilmente di notte (ma non solo), per piantare aiuole e spazi abbandonati. Se da una parte si aggirano nottetempo per evitare problemi con le forze dell’ordine, dall’altra cercano comunque visibilità sia per “arruolare” nuovi volontari, sia per cercare l’appoggio dei residenti della zona dove agiscono, per garantire vita futura alle piante.
Il termine, con questa connotazione di lotta, appare nel 1973 per dare il nome ad un’associazione di attivisti, capeggiati dall’artista Liz Christy, che era riuscita ad appropriarsi di un lotto abbandonato, nel quartiere di Losaida a New York, lanciando seed bombs (bombe di semi) attraverso le recinzioni. A questa azione ne seguirono altre e soprattutto ne seguì il permesso da parte dell’amministrazione comunale di entrare in quel terreno per trasformarlo in community garden. La lotta ambientalista, dunque, ebbe successo, ed oggi New York conta più di seicento community gardens, sebbene molti a rischio di demolizione.
Ma la pratica effimera non ha lasciato il posto all’istituzionalizzazione dei giardini di comunità. Soprattutto a partire dagli anni novanta, questa pratica guerrigliera di ispirazione situazionista si è diffusa a livello internazionale, producendo eventi anche spettacolari. Ogni luogo ed ogni comunità di attivisti hanno trovato la declinazione e le modalità più congeniali. In particolare, ci interessa quanto negli ultimi anni sta accadendo in Italia, dove in città come Roma e Milano queste pratiche, considerate marginali, stanno risvegliando interesse e voglia di riappropriazione e risignificazione dello spazio urbano da parte dei cittadini.