Prove di democrazia partecipativa nell’area genovese
Franca Balletti e Silvia Soppa
Assumere come centrale l’attenzione alla partecipazione all’interno delle pratiche di governo del territorio significa far convergere due punti di vista, entrambi volti alla costruzione di qualità per la città ed il territorio: l’approccio paesaggistico – quello introdotto dalla Convenzione Europea del Paesaggio – e l’approccio che si propone di dare efficacia alle politiche urbane. La partecipazione, infatti, assume centralità nelle politiche urbane sia in relazione ai problemi di qualità dell’abitare (esemplificativo è il caso delle periferie, ma non solo), sia dell’efficacia delle trasformazioni previste dai piani e dai progetti, in termini funzionali, formali e sociali. Per rispondere a questi temi si sono sviluppate esperienze di coinvolgimento degli abitanti nei processi di piano e di progetto che hanno condotto, almeno in parte, al cambiamento o alla revisione delle modalità di formazione degli strumenti ordinari e – forse in misura minore – ad innovazioni nei contenuti.
Si può affermare che la partecipazione da un lato diventi un requisito tecnico del governo del territorio, capace di garantire la necessaria opzione democratica (Crosta, 1991), e dall’altro assuma un ruolo strategico per la qualità delle trasformazioni, portando alla costruzione di “ambienti di vita” (quartieri, vicinati, spazi aperti) capaci di meglio esprimere la “cultura” del luogo in tutti i suoi molteplici aspetti. Se al centro dell’“agire partecipativo” è posta la dimensione dell’interesse collettivo e dell’equità sociale, il tema strutturante dei processi che si pongono come obiettivo la rigenerazione urbana e territoriale non può che essere l’intervento sullo spazio pubblico, in senso lato: dallo spazio aperto delle piazze, al verde, alle strutture di servizio, alla mobilità dolce.
Agire sullo spazio pubblico significa occuparsi non solo delle modalità della sua trasformazione fisica, ma soprattutto del significato che viene ad esso attribuito e che – abbracciando un approccio partecipativo – si declina innanzitutto come luogo di interazione tra cittadini, come campo in cui si forma la pubblica opinione. In questo contesto le dimensioni etica ed estetica interagiscono in modo profondo, condizionando l’efficacia delle scelte e rendendo strategico il ricorso alla costruzione condivisa sia del quadro conoscitivo/interpretativo dei luoghi (che ne evidenzia i caratteri identitari, ma anche criticità e attese), sia del disegno progettuale, sia di forme di gestione proponibili.
Il territorio genovese offre casi-studio che possono aprire un campo interessante di discussione e di confronto, facendo capo a tematiche differenti e a diverse scale di intervento, anche se, come in genere accade nel nostro Paese, la “filiera” del livello locale è decisamente più consistente rispetto a quella d’Area Vasta .
A scala territoriale è stato promosso dalla Provincia di Genova un articolato percorso finalizzato alla costruzione di un Master Plan per la Valle Scrivia che ha coinvolto numerose amministrazioni comunali; alla scala di quartiere o di settore urbano i temi vanno dal recupero e rifunzionalizzazione di aree industriali dismesse o di aree destinate a servizi non più attivi (Ex Verrina a Voltri, ex Ilva a Cornigliano, ex Boero a Molassana, ex Stoppani a Cogoleto, autorimessa AMT a Boccadasse, mercato ortofrutticolo di Corso Sardegna), alla realizzazione di spazi pubblici frutto di riuso di aree ex portuali (fascia di rispetto di Prà) o di margine urbano (S. Eusebio-Mermi-Montesignano), alla riqualificazione di quartieri con problemi di degrado fisico e sociale (quartiere Maddalena nel centro storico della Città), alla “comparazione” tra soluzioni alternative per una grande infrastruttura (Gronda autostradale di Ponente), alla definizione del tracciato di una tranvia al servizio di una delle due principali Valli genovesi, la Valbisagno.
Tutte le esperienze, di diversa complessità, comportano interventi di riutilizzazione e valorizzazione dello spazio pubblico, cercando di riconfigurare le relazioni non solo fisiche, ma percettive, fruitive, di appartenenza. In altri termini, i processi partecipativi presi in considerazione hanno come fine ultimo quello di ridefinire la percezione comune dello spazio pubblico, di rideterminarne gli equilibri tra gli interessi dei diversi attori in gioco (pubblici e privati), di proporre nuove pratiche d’uso capaci di essere alternative vitali alle dinamiche in atto (privatizzazione, gentrification, disneyficazione, …), ed ancora, di sottrarre lo spazio pubblico all’incuria, alla marginalizzazione, all’erosione e alla banalizzazione.
L’aspetto originale dato dal progetto partecipato è che il recupero di “spazi aperti” pubblici e d’uso pubblico, spesso solo accessori nelle prassi progettuali comuni correnti, diventa l’elemento fondante per il ridisegno complessivo dell’ambiente di vita, condizionando la qualità di successivi atti progettuali.