La foschia della Cina “Sotto la cupola”: il documentario choc sull’inquinamento.
Spazio pubblico e salute è il tema lanciato dal documentario ‘Under the Dome’: il mondo intero guarda un inferno in cui i bambini nascono malati e restano reclusi in casa. E il governo cinese non lo censura.
Chai Jing è una famosa reporter investigativa, ha trattato spesso nel suo lavoro delle disgrazie ambientali della Cina. Ma da quando è rimasta incinta, nel 2013, ha scoperto che il suo bambino aveva un tumore mentre era ancora nel suo grembo, con ogni probabilità causato dal particolato l’inquinamento galoppante del paese è diventato un fatto personale che l’ha spinta a cercare soluzioni ai problemi dell’aria in Cina. La bambina di Chai è sopravvissuta dopo un intervento chirurgico effettuato l’anno scorso, ma Chai è rimasta sconvolta e incapace di godere della sensazione di maternità. Ha deciso di lasciare il suo lavoro presso l’emittente di stato cinese CCTV e di prendersi cura di sua figlia.
Tuttavia Chai ha continuato la sua attività di reporter, ed il suo nuovo documentario indipendente, realizzato con un investimento di 160 mila dollari, pone l’attenzione sul problema dello smog in Cina, argomento che sta a cuore ai cinesi ma che causa grattacapi ai governanti. Il video è esploso sui principali social media cinesi, ha una durata di quasi 2 ore, è intitolato ‘Sotto la Cupola’ (China’s Haze: Under the Dome – La foschia della Cina: Sotto la cupola), è diventato virale poco dopo la sua trasmissione sabato 27 febbraio scorso.
La domenica mattina, ‘Inchiesta sullo smog di #Chai Jing’ è stato tema caldo sull’equivalente cinese di Twitter, Sina Weibo, e aveva già generato più di 30 milioni di visualizzazioni su varie piattaforme cinesi di condivisione di video.
L’inchiesta riporta dati sull’inquinamento che fanno riflettere, il video ricalca lo stile dei TED talks, con intervalli di animazioni e filmati che mostrano il fumo grigio delle fabbriche e le file di traffico nelle maggiori città della Cina. Come parte dell’inchiesta, Chai ha anche visitato delle fabbriche inquinanti, ed è anche andata a Londra e Los Angeles per ripercorrere i momenti nella storia dello smog che hanno provocato migliaia di vittime. Ciò che emerge dal documentario è una dura critica sull’uso eccessivo dei combustibili fossili da parte della Cina, sullo sviluppo sproporzionato delle industrie pesanti e sulla mancata applicazione degli statuti ambientali. Il 60% dello smog cinese proviene dalla combustione di carbone e benzina, fa notare il documentario, citando rapporti pubblicati da istituti di ricerca cinesi. Oggi la Cina è il maggior consumatore al mondo di carbone, che rappresenta il 70% del consumo totale di energia del paese. Peggio ancora, secondo il documentario di Chai, la Cina lava meno della metà del suo carbone, limitando la sua capacità di ridurre l’inquinamento e migliorare l’efficienza del carburante. Nonostante la promessa di Pechino di inasprire i controlli sulle industrie inquinanti — regolarmente avvalorata dal presedente Xi Jinping — permane una certa resistenza alla riforma ambientale.
In un momento nel documentario, quando Chai chiede a un ufficiale ambientale perché il governo non può semplicemente chiudere gli impianti siderurgici che inquinano, egli obietta stupendosi: “Sta scherzando? Un impianto per la produzione di acciaio con una capacità annua di 10 milioni di tonnellate di solito impiega 100.000 lavoratori, non c’è alcun modo di poter chiudere gli impianti siderurgici nella provincia dell’Hebei.”
Il documentario evidenzia anche la riluttanza da parte delle organizzazioni petrolifere in Cina ad imporre degli standard per una benzina più ecologica. Nei paesi occidentali, gli standard per la benzina sono solitamente fissati dalle autorità ambientali, ma in Cina questi poteri sono ancora saldamente in mano ai giganti petroliferi statali come la China National Petroleum Company (CNPC) e la Sinopec.
L’espressione cinese che definisce lo smog è costituita da due caratteri: nebbia e foschia; e solo negli ultimi anni è diventata di uso più comune, in gran parte per la crescente richiesta pubblica di una migliore qualità dell’aria e un tam tam di rapporti dei media che trattano dettagliatamente dei rischi per la salute.
La discussione pubblica sul problema ha subito un’impennata nel gennaio del 2013, quando uno degli indicatori chiave dell’inquinamento (il PM2,5 che misura le polveri sottili al di sotto di 2,5 unità nell’aria), è andato fuori scala. Il PM2,5 è particolarmente pericoloso per la salute pubblica in quanto può penetrare i polmoni. La rilevazione più alta di quel mese era vicino al 1000, quasi 40 volte più alta di quello che l’organizzazione mondiale della sanità (OMS) ritiene sicuro per gli esseri umani.
Se il documentario in sé non è innovativo, è uno dei report più completi della TV cinese sullo smog fino ad oggi. La sua uscita arriva sulla scia di un recente rimpasto della leadership del Ministero dell’ambiente in Cina, con l’ex presidente riformista dell’elitaria Università di Tsinghua, Chen Jining, paracadutato nella posizione più alta dell’agenzia.
Verso la fine del documentario, Chai attacca con un tono provocatorio: Un giorno, decine di migliaia di persone comuni diranno no. Diranno che non sono soddisfatte, non vogliono aspettare e non vogliono eludere le responsabilità. Devo espormi in prima persona e fare qualcosa, e lo farò proprio adesso, proprio qui. Io sono il cambiamento.
Poi getta lo sguardo verso un pianeta terra che ruota sullo sfondo (al minuto 01:43:56 del documentario) e fa un appello, da madre: Un giorno lascerò questo mondo, ma mia figlia vivrà ancora su questo pianeta. È per questo che me ne preoccupo. Ecco perché lo guardo allo stesso modo in cui guardo voi. Ecco perché lo proteggerò come proteggo voi.
Per l’ambientalista cinese Ma Jun, questo documentario sarà uno dei fondamentali momenti di presa di coscienza dell’opinione pubblica cinese di tutti i tempi, e infatti già sta facendo discutere in rete la questione come mai prima, nei social media e su Wechat. Del resto è la prima volta che l’argomento viene affrontato in modo così diretto, personale, e facile: cosa c’è nel particolato, si domanda la giornalista? Semplice! 14 diversi carcenogeni, che fanno 500mila morti ogni anno solo in Cina. Chai critica le mancate politiche governative, e critica le compagnie di petrolio.
La reazione è stata inaspettata: il Ministro dell’ambiente cinese, Chen Jining, ha elogiato il progetto, dicendo che riflette “la crescente consapevolezza della popolazione sulla questione ambientale e sui rischi per la salute pubblica”.
E da noi?
Certo, l’inquinamento in Cina ha assunto proporzioni mostruose, e uno studio lo scorso anno ha definito Pechino quasi “invivibile per gli esseri umani”. Ma sappiamo che l’aria del nostro pianeta è una sola, che l’inquinamento cinese non resta intrappolato nelle sue città ma circola fino a noi, che già abbiamo i nostri grossi problemi. Prendiamo gli ultimi dati su Milano: abbiamo già esaurito i 35 giorni di sforamento dei livelli di Pm10 concessi dall’Europa.
È solo l’ennesima trasgressione per un atteggiamento che ha già portato a numerose procedure d’infrazione per l’Italia, il Paese più motorizzato d’Europa (fonte Istat).