RI-SCOPRIRE GLI INTERSTIZI URBANI
Cristian Gori – Coworking Studio Bellaria Igea Marina
Mail: info@architettocristiangori.it
338-4040985
La drammaticità della recente pandemia Covid-19 ha dolorosamente fatto emergere alcuni limiti della città contemporanea, a prescindere dalle dimensioni e dalle coordinate geografiche di appartenenza. In particolar modo ha messo in luce l’importanza di una attenzione (spesso trascurata) verso la qualità degli spazi abitativi, sia privati che pubblici. Sono molteplici e tutte prolifere, le riflessioni in corso dagli addetti ai lavori nell’ambito dell’urbanistica, finalizzate ad ipotizzare delle linee guida sul futuro della città post Covid. Dal problema dell’ ipertrofia demografica, al rischio di un collasso ecologico mondiale, dalla necessità di rivedere il sistema economico capitalistico, all’esigenza di individuare nuovi paradigmi per la città. Tematiche tutte meritevoli di attenzione, a cui potrebbero aggiungersene molte altre. Premesso che l’assetto urbano del territorio dovrebbe sempre cercare di tradurre ed assecondare gli orientamenti culturali, sociali ed economici di una società, ciò che rende a nostro avviso attualmente particolarmente difficile tale applicazione è forse la mancanza di un modello ideologico di società. Se è vero, come è stato spesso affermato che stiamo vivendo in una “società fluida”, caratterizzata da molteplici stili di vita, quindi difficile da configurare con un preciso modello da tradurre territorialmente. Altrettanto complicato quindi risulta essere l’individuazione di modelli risolutivi per riqualificare e gestire gli spazi pubblici della città. Motivo per cui sarà forse opportuno operare in modo empirico, cercando di individuare le soluzioni più pertinenti analizzando i singoli casi, cercando di attuare dei processi esplorativi, in grado di fare emergere le possibili potenzialità economiche e sociali di una comunità cittadina spesso in cerca di una precisa nuova identità. Premesso ciò, il nostro contributo si è circoscritto alla riflessione inerente l’uso degli spazi pubblici durante le diverse fasi caratterizzate dal distanziamento fisico in fase pandemica. Limitando inevitabilmente l’indagine territoriale ad alcune città della riviera romagnola i cui centri urbani, spesso già sofferenti durante il periodo invernale, stentano nell’ esprimere una sua vitalità. Da qui si è cercato di cogliere ed analizzare, quelle nuove modalità attraverso le quali i cittadini hanno vissuto o interagito ed interagiscono attualmente con gli ambienti dello spazio pubblico. Un delicato momento storico che ha imposto ed impone tutt’ora una revisione delle distanze fisiche tra i cittadini. Seppur la nostra indagine si è limitata a cogliere gli aspetti percettivi di come i cittadini hanno interagito con gli spazi pubblici, (viali, piazze, aiuole arredate, portici ecc.) è stato possibile registrare tre differenti forme di relazione ed interpretazione verso questi ambienti.
1- Una maggiore sensibilità verso il valore dello spazio pubblico da parte della collettività
L’impossibilità di vivere lo spazio pubblico nel modo tradizionale, e viverlo invece come mero spazio di attraversamento per esigenze circoscritte alla dimensione commerciale primaria, ha fatto affiorare una attenzione verso l’importanza di questi spazi fisici della città. Si potrebbe parlare del sorgere di una “coscienza” dello spazio pubblico mai emersa in precedenza, forse perchè per la prima volta nella storia è stato di fatto negato l’utilizzo. Un riconoscimento diffuso del ruolo degli ambienti pubblici all’interno dell’organismo città, come un valore fondamentale, la cui preclusione (o limitazione) è stata subito avvertita come un impedimento ad affermare e vivere a pieno la dimensione della propria libertà di cittadini.
2- Il riconoscimento dell’importanza della qualità degli spazi pubblici.
Il non poter vivere in molti casi i luoghi simbolo della propria città ed essere relegati negli spazi pubblici di prossimità (per la circoscritta passeggiata di salute), ha fatto emergere una sensibilità verso l’importanza non solo dell’esistenza, ma anche della qualità ambientale dei medesimi spazi pubblici. Facendo emergere anche un attenzione (precedentemente poco marcata) verso l’estetica di questi luoghi.
3- La ri-scoperta degli “spazi interstiziali” urbani.
La reclusione forzata, obbligando a vivere in prossimità delle proprie abitazioni, ha indotto a cogliere il riconoscimento di molti spazi pubblici “interstiziali”, (spesso concepiti per costrizione degli indici di urbanizzazione piuttosto che come prodotto progettuale desiderato), precedentemente ignorati o addirittura non percepiti come tali. Proprio quest’ultimi spazi, differenti ed eterogenei per natura, hanno rappresentato e in molti casi permesso di vivere delle nicchie di libertà e socialità contenuta. In modo particolare sono stati questi “territori comuni” che hanno garantito durante la fase più acuta della pandemia due aspetti prestazionali: il poter essere utilizzati in molti casi come percorsi alternativi a quelli tradizionali per evitare transiti sovraffollati, ma soprattutto hanno saputo assumere il ruolo di sedi di relax e offrire il mantenimento di forme relazionali tra vicinato, nel rispetto delle dovute sicurezze fisiche. Ed è su questi “territori comuni” (piccole piazzette, frammenti di aree verdi, porzioni di assi stradali pedonalizzate, aiuole attrezzate, ecc.) che si potrebbe concentrare da subito un attenzione di valorizzazione.
Spazi interstiziali, spesso privi di una propria identità, recepiti come spazi di risulta, che potrebbero invece acquisire il ruolo di luoghi di quartiere o di rione ed eventualmente acquisire una propria identità conoscitiva. Frammenti di urbanità la cui rivalorizzazione potrebbe configurare una livrea capace di innalzare la qualità dell’intero tessuto urbano cittadino. Spazi di riserva agli spazi tradizionali, che garantirebbero in caso di nuovi episodi pandemici simili il mantenimento di una socialità tra i cittadini. Seppur luoghi “minori” della città, questi interstizi urbani, nel loro ruolo di sedi pubbliche ospitanti, hanno permesso una minimale forma di contatto tra i cittadini. Luoghi dove è stato possibile affermare quella “legge naturale del caos” antropologico, come antidoto al pericoloso fenomeno di omologazione verso il quale forme di restrizione globale (seppur per motivi sanitari) possono condurre. E’ forse questo l’aspetto più nobile di questi spazi minori, quello di impedire l’annullamento totale della socialità tra i cittadini e con essa un libero scambio di idee e di opinioni. La tutela dell’esistenza ma soprattutto dell’utilizzo dello spazio pubblico, come principio etico da equiparare alla tutela del valore della libertà e della democrazia dei cittadini.
Immagini correlate