La città che cura i bambini

di Mario Spada, redazione BiSP

Non si conoscono ancora tutti i devastanti effetti della pandemia da covid 19 sulla salute collettiva e in particolare sulla salute di bambini e ragazzi. Più che le conseguenze fisiche di natura organica per le quali sembra che abbiano una maggiore resistenza, appare grave il quadro clinico del disagio psichico. L’isolamento domestico, la mancanza di incontri fisici con i coetanei, il timore del contagio, la morte di familiari, hanno determinato stati d’ansia e depressione che lasceranno strascichi nella fase della post pandemia.   In un’intervista al giornale britannico “Guardian” del 1 gennaio Adrian James, presidente del Royal College of Psychiatrists dichiara che questa pandemia è probabilmente il colpo più profondo alla salute mentale dalla seconda guerra mondiale, che solo in Gran Bretagna milioni di persone compresi i bambini avranno bisogno di un sostegno supplementare contro il disagio mentale. In ogni regione del mondo psichiatri infantili e dell’età evolutiva manifestano le medesime preoccupazioni, in particolare per i più piccoli, dai 3 ai 6 anni, che hanno il cervello in fase di sviluppo e stanno manifestando sintomi di disattenzione, irritabilità, eccesivo attaccamento ai genitori. Non si parla abbastanza di questo problema e dei modi più idonei per curare il disagio delle nuove generazioni. Sarebbe un grave errore se prevalessero le soluzioni farmacologiche ospedalizzando i casi che possono sembrare più gravi.  Vale per gli adulti e a maggior ragione per i bambini la necessità di adottare provvedimenti che non provochino un distacco traumatico dalla famiglia, dagli amici , dal contesto abitativo.

La pandemia ha mostrato la fragilità del nostro  sistema socio sanitario incentrato sull’ospedale . Sono stati per primi gli operatori ospedalieri e i medici di base a sostenere la necessità  di dotarsi di un sistema articolato  a livello territoriale,   rimodellando le funzioni dei distretti socio-sanitari che non possono  essere mere espressioni geografiche ma devono diventare istituzioni aperte e flessibili in grado di rispondere alle emergenze imposte dai virus ma più in generale di rispondere ai bisogni di salute in maniera integrata con una visione olistica della cura.

 In questa luce è  di grande attualità il libro “La città che cura “di Giovanna Gallio e Maria Grazia Cogliati Dezza (alphabeta 2018) che documenta la sperimentazione  a Trieste delle “microaree”,  nuovi percorsi di cura avviati nel 2005 che si distinguono dalle pratiche consuete perché valorizzano i contesti socioeconomici locali . Il termine “microaree” già fa capire che la sperimentazione si è concentrata su porzioni limitate  di territorio  per poter entrare nella vita concreta delle persone, girando strada per strada, casa per casa.   Individuata l’area è stato avviato un processo conoscitivo delle risorse e dei bisogni : da un lato è stata redatta la mappa delle risorse esistenti, ricostruendo le condizioni abitative, l’accesso ai servizi prioritari, le pratiche solidali  di mutuo soccorso; dall’altro lato la mappa dei bisogni , con inchieste sul campo e un esame di dati statistici relativi alle condizioni di salute dei residenti . Gli aspetti  sanitari sono stati considerati insieme a quelli di natura economica e sociale in una visione olistica del malato e della cura. Trieste è stata la città della rivoluzionaria sperimentazione psichiatrica di Basaglia che si opponeva alla logica dell’ internamento spostando la cura dai luoghi della segregazione   ai luoghi e ai contesti di vita; dalla metà degli anni 90  questa impostazione è stata estesa alle altre branche della medicina. Quando curi un paziente in ospedale curi il corpo della persona; se lo curi a casa sei obbligato a vedere dove abita, la qualità dell’ambiente, chi gli sta intorno. Ciò è ancor più vero se il malato è un bambino per il quale l’ambiente domestico è parte integrante di un regolare processo evolutivo.

Il lavoro sperimentale delle “microaree” ha influenzato la formazione e il funzionamento di tutti i distretti sanitari di Trieste che sono stati concepiti, in alternativa alle risposte date dall’ospedale, come dispositivi che aggregano tutte le risposte sanitarie relative a un determinato territorio, compresa la prevenzione delle malattie con la cura dei cibi, il monitoraggio della salubrità dell’aria e dell’acqua. E’ evidente la possibile interazione tra educazione sanitaria e educazione ambientale e il ruolo che le scuole di quartiere possono svolgere come sedi di comunità educanti che attivano corsi e campagne informative finalizzate alla prevenzione. Il progetto “microaree” di Trieste  mette il capitale sociale delle comunità locali al centro dei dispositivi sanitari e perciò è lecito dire che la città si configura come una “città che cura”.

La sperimentazione triestina non è isolata: il Comune di Bologna , la Città Metropolitana e la Fondazione Innovazione Urbana hanno condiviso e pubblicato un documento “Bologna riparte”(ottobre 2020) che prefigura le azioni necessarie per una riorganizzazione del welfare duramente compromesso dalla pandemia. Il capitolo sulla sanità ricalca la filosofia delle “microaree”, mira alla realizzazione di un forte senso di comunità e di appartenenza al territorio:  “se la malattia trova una sua risposta nei presidi sanitari, la salute trova la sua promozione nell’azione su condizioni e relazioni sociali di vita” (pg. 45).

Costruzione di comunità, quartiere, prossimità, prevenzione: sono queste le parole chiave per una riorganizzazione territoriale del sistema socio-sanitario nazionale in una dimensione intersettoriale e interdisciplinare nel cui ambito le scuole di quartiere possono avere una funzione primaria e bambini e ragazzi possono fruire di servizi sanitari integrati che abbiano il loro fondamento nella vita, nelle relazioni umane e sociali.(1)

La città che cura: http://www.edizionialphabeta.it/it/Book/la-citta-che-cura/978-88-7223-313-9

Bologna riparte : https://www.fondazioneinnovazioneurbana.it/45-uncategorised/2452-online-il-rapporto-bologna-riparte-oltre-l-emergenza-coronavirus


(1) E’ confortante la posizione espressa dal Presidente Draghi nel suo primo discorso al Senato che riportiamo integralmente: 

Sulla base dell’esperienza dei mesi scorsi dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla riforma della nostra sanità. Il punto centrale è rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base (case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria). È questa la strada per rendere realmente esigibili i “Livelli essenziali di assistenza” e affidare agli ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative. La “casa come principale luogo di cura” è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata.