VOCI DAL MONDO: La Città Magica di Jorge Luis Borges
di Pietro Garau, redazione BiSP
Nel corso di un collegamento BiSP con l’università di Buenos Aires sulle “quattro città” evocate da uno dei progetti della BiSP 2021, il docente Andrés Borthagaray ha citato gli ultimi tre versi di una poesia di Borges (nostra la traduzione alla buona – ma con l’immodestia che solo una frase di Borges stesso può far perdonare, che sia l’originale che non è fedele alla traduzione?)
L’ultima ombra si perderà, leggera.
Non ci unisce l’amore, bensì lo spavento:
Sarà per questo che la amo tanto.
Borges si riferisce a Buenos Aires; ma non per fare un inno alla sua città, lui che era anche cittadino del mondo. All’inizio della stessa poesia dice che “la città, ora, è come la mappa delle mie umiliazioni e dei miei fallimenti”, ma anche che essa è il luogo in cui “i miei passi tracciano il loro incalcolabile labirinto”.
Non è azzardato pensare che per Borges la città si identificasse anche con la cosa a lui più cara – un libro. E questo amore arriva a confondere libro e autore, e libro e lettore. Così la città è quel luogo magico che serba la traccia delle nostre esperienze, quelle dolorose e quelle felici; ma è anche il magico laboratorio senza confini in cui possiamo fare finta di perderci, inventando percorsi intricati e forse mai più ripercorribili – se non altro, perché’ quando li rifacessimo, non saremmo più gli stessi. E continuando con questa analogia, vale la pena di ricordare una frase di Borges: “non si è ciò che si è per quello che si è scritto, ma per ciò che si è letto”.
Chi scrive il libro della città è, innanzitutto, chi la progetta. Ma il progettista passa spesso ad altro, anche se diventa anche lui, o lei, lettore di una città, magari quella stessa che ha pensato. Per tutti gli altri non è necessario scrivere città, ma è senza dubbio utilissimo leggerle. O saperle leggere: era questa una delle più famose raccomandazioni di Borges sulla lettura.
Ecco il testo originale di “Buenos Aires”:
Y la ciudad, ahora, es como un plano
De mis humillaciones y fracasos;
Desde esa puerta he visto los ocasos
Y ante ese mármol he aguardado en vano.
Aquí el incierto ayer y el hoy distinto
Me han deparado los comunes casos
De toda suerte humana; aquí mis pasos
Tejen su incalculable laberinto.
Aquí la tarde cenicienta espera
El fruto que le debe la mañana;
Aquí mi sombra en la no menos vana
Sombra final se perderá, ligera.
No nos une el amor sino el espanto;
Será por eso que la quiero tanto.