Città e infanzia: un gruppo di lavoro aperto a tutti
Chiara Pignaris chiara.pignaris@gmail.com
Nell’autunno 2010 alcuni architetti e urbanisti che avevano avuto un ruolo attivo, alla fine degli anni ’90, nella promozione di processi partecipativi che ponevano il bambino come punto di vista da cui partire per costruire ambienti urbani più sostenibili e politiche pubbliche più inclusive nei confronti di tutti i “diversi”, si sono ritrovati a Firenze, mossi dal desiderio di capire se l’argomento è ancora attuale e se merita di essere rilanciato. L’occasione che ha dato avvio alla riflessione è stata l’appuntamento biennale internazionale “Child in the city” (organizzato dalla Child in the City Foundation e dalla Rete Europea delle Città Amiche dei Bambini – ENCFC) che si è svolto a Firenze nel mese di ottobre 2010 e ha visto 275 delegati di 38 Paesi del mondo, discutere dell’applicazione dei diritti dell’infanzia e affrontare il problema della qualità della vita dei bambini in ambienti urbani sempre più complicati e squilibrati.
Quando fu candidata ad ospitare questo evento, l’Italia era vista come esempio da imitare per la diffusione di buone pratiche e sperimentazioni innovative, generate da leggi avanzate e da un ampio movimento culturale. A poco più di due anni di distanza, però, la situazione italiana sembra completamente cambiata: con forte ritardo il Governo ha approvato il Piano Infanzia, che però è privo di risorse finanziarie e vede fortemente ridimensionato il tema diritto dei bambini alla partecipazione. Nulla è rimasto dell’idea rivoluzionaria di coinvolgere i bambini nella progettazione degli spazi urbani e il progetto Città Sostenibili delle Bambine e dei Bambini del Ministero dell’Ambiente, che aveva prodotto anche un interessamento del mondo accademico (in particolare alcune facoltà di Architettura e di Urbanistica), dell’INU e del Consiglio Nazionale degli Architetti, è stato definitivamente accantonato.
Oggi alle città è affidato un ruolo strategico nelle politiche di coesione: ad esse si chiede di sviluppare nuove idee per mettere in moto la ripresa economica e migliorare l’inclusione sociale, pur in un contesto di risorse pubbliche sempre più scarse.
La capacità di attirare investimenti diventa sempre più determinante e lo spazio pubblico assume un ruolo fondamentale nella corsa alla competitività delle città, poiché dalla sua qualità dipendono non solo il benessere dei cittadini e lo sviluppo di relazioni sociali positive, ma anche l’attrattività della città per investitori economici e city users. Questa maggiore attenzione rischia di comportare delle conseguenze negative, prima fra tutte la tendenza a specializzare e privatizzare lo spazio urbano collettivo, dove tradizionalmente convivevano più funzioni in equilibrio più o meno conflittuale, estromettendo gli usi che non comportano ricadute economiche. Così gli spazi veramente “pubblici” si riducono, e gli abitanti che non producono o consumano ricchezza, come i bambini, gli anziani, i poveri, rischiano di essere confinati nelle periferie o in “riserve” ad essi dedicate.
Nel contesto nazionale emergono però anche alcuni elementi positivi: nel versante dell’urbanistica, dell’architettura e del design si sta manifestando, soprattutto da parte dei giovani professionisti, una nuova sensibilità sociale ed ecologica, conseguenza forse anche della crisi economica che stiamo attraversando, che rende possibile riproporre alcune idee che dieci anni fa, in un quadro di sviluppo basato sulla crescita economica e sulla speculazione immobiliare, sembravano utopie, come ad esempio la progettazione partecipata, l’autocostruzione, il co-housing, l’economia solidale, la ri-naturazione urbana, l’arredo urbano autoprodotto. Inoltre la politica sembra finalmente cominciare a capire, forse solo per ragioni di sopravvivenza, che è necessario aprire nuovi canali di coinvolgimento dei cittadini nella costruzione delle scelte pubbliche, come confermano le due recenti leggi sulla promozione della partecipazione dei cittadini della Toscana e dell’Emilia Romagna, ma anche le interessanti sperimentazioni della Puglia e di altre regioni. Anche in Italia cominciano a moltiplicarsi le esperienze di processi partecipativi promossi dagli enti locali, e iniziano a formarsi nuove figure professionali e nuovi gruppi di ricerca, sebbene l’impostazione tenda in generale ad assumere un “taglio” prevalentemente consensuale/concertativo centrato sulla decisione, sui grandi numeri, sugli aspetti teorici o metodologici, più che sulla cura progettuale dei dettagli e sulle reali ricadute in termini di azioni concrete di trasformazione.
In questo quadro, si rende perciò quanto mai utile e urgente attivare una profonda riflessione sulla presenza e sul ruolo dei bambini nelle nostre città, a partire dalle esperienze di progettazione partecipata portate avanti dalla stagione della L.285/97 e alla luce dei cambiamenti sociali, economici e politici avvenuti negli ultimi anni, che vada oltre il compiacimento dei risultati raggiunti dalle molte esperienze sicuramente ancora attive in tante realtà urbane, ma getti le basi per una nuova stagione di attenzione, più interdisciplinare e lungimirante.
Per far questo si è deciso di dare avvio a un gruppo di studio che fa capo alla Commissione INU di Urbanistica Partecipata e Comunicativa, con l’obiettivo di stimolare l’avvio di una riflessione collettiva sulla stagione della partecipazione dei bambini in Italia, soprattutto per ciò che riguarda le politiche urbane, fare un bilancio di questa stagione e provare a rilanciare il tema su nuove basi, con nuovi strumenti e coinvolgendo nuovi soggetti.
I contributi che seguono sono le prime tracce e i primi approfondimenti che ciascuno ha trattato in base alla propria personale sensibilità e ai propri interessi; seguiranno, speriamo, altre adesioni e altri contributi da parte di tutti gli esperti che abbiano voglia di arricchire questo documento collettivo con nuovi “tagli” e nuove idee.