RIPARTIRE DAI NOSTRI QUARTIERI PER REIMMAGINARE IL MONDO. BAGAGLI LEGGERI PER SPAZI COMUNI CONDIVISI
Letizia Montalbano
Storicamente le calamità hanno sempre costretto gli esseri umani a rompere con il passato e ad reimmaginare il mondo:
“Questa è diversa : è un portale, un cancello fra un mondo ed un altro. Possiamo scegliere di attraversarlo trascinandoci dietro la carcassa del nostro odio, dei nostri pregiudizi, la nostra avidità, le nostre banalità, le nostre vecchie idee, i nostri fiumi morti, ed i nostri cieli avvelenati, oppure possiamo attraversarlo con un bagaglio più leggero pronti ad immaginare un mondo diverso. Ed a lottare per averlo” Arundhati Roy
Durante la pandemia, che ha messo alla prova la nozione stessa dell’abitare, abbiamo riscoperto la casa e la famiglia (anche quando ci mancava perché lontana) come luoghi di pura elezione, un nuovo modo di abitare il mondo insieme. Vivere, lavorare, giocare in un solo quartiere è stato spesso considerato come il connubio ideale per città ben pianificate. Eppure finora questo obiettivo si è dimostrato sfuggente. Per la maggior parte di noi, le nostre attività quotidiane sono state separate da recinti monofunzionali. Ogni mattina uscendo dalle nostre abitazioni ci siamo diretti ,attraverso percorsi prestabiliti, verso un punto di lavoro fisso. Per questo siamo stati tenuti a pianificare i trasporti per gestire il nostro tragitto giornaliero, Poi è arrivato un nemico invisibile e potente che ha stravolto all’improvviso il nostro modo di vivere e pensare lo spazio pubblico e privato. Le restrizioni hanno cambiato il nostro comportamento: ci siamo adattati a svolgere a casa la maggior parte delle funzioni che la nostra vita quotidiana, diventata improvvisamente eroica , comportava. Abbiamo camminato , fatto acquisti, lavorato, educato i nostri bambini localmente e comprato e preparato cibo in uno spazio molto ridotto. Per molti di noi, i nostri quartieri sono diventati il nostro nuovo “mondo” in cui vivere, lavorare e, per i più fortunati, giocare. I contatti con i nostri nuclei familiari sono diventati molto intensi o al contrario estremamente rarefatti e virtuali.
Un nuovo equilibrio fra Locale e Globale
Ora ci troviamo davanti a un bivio. Possiamo scegliere di tornare indietro ad una presunta “normalità” ,visto che le restrizioni sono state allentate. Oppure esplorare le opportunità che i nostri nuovi comportamenti hanno creato. Siamo in grado di esplorare le intersezioni tra questi nuovi comportamenti e il modo in cui pensiamo ai nostri quartieri e di conseguenza alle nostre città?. Possiamo raggiungere adesso quell’ideale equilibrio fra lavoro, riposo e gioco a livello locale? La risposta probabilmente sta nella sperimentazione delle diverse possibilità che abbiamo per ricostruire il nostro rapporto con la città. Forse partendo proprio dalle esigenze di quella parte degli abitanti che si sono rivelati più fragili e vulnerabili durante la pandemia, dai bambini invisibili agli anziani confinati e “sacrificabili”. Provando ad istituire un nuova connessione intergenerazionale ed a riallacciare l’imprescindibile nesso fra locale e globale. Se fino a ieri infatti potevamo conservare ancora l’illusione che bastasse un click a determinare o meno la nostra volontaria appartenenza ad un mondo virtuale, dove soddisfare pulsioni momentanee, diventa adesso puramente ipotetico il contrario, cioè riuscire a rientrare nel mondo reale senza troppi danni al nostro hard disk interiore.
Il nuovo diktat sarà infatti garantire una distanza che per quanto abbellita e/o mutuata da dispositivi o strumenti di design tecnologici e protocolli condivisi, ci consentirà, come massima negoziazione, di affidarci interamente nelle mani di qualcuno o qualcosa che sarà deputato per un periodo imprecisato ad occuparsi dei nostri primi passi all’esterno, proprio come quando eravamo bambini-ed abbiamo imparato a camminare. E probabilmente è proprio la fiducia con cui dovremo cercare di misurarci di nuovo, imparare a prendere le distanze ristabilendo un senso di appartenenza a luoghi che adesso vengono percepiti come estranei e misurati con strumenti inusuali da novelli agrimensori.In questa geometria percettiva che gioco forza si confronterà con quella di perimetri consentiti lottizzati dovremo ricalcolare lo spazio e la prossimità secondo nuove regole che inevitabilmente rischiano di portarci fuori gioco e creare categorie divisive se non antagoniste.
Per non reticolare lo spazio
Dopo una lunga stagione di muri ideologici che si sono sostituiti a quelli crollati alla fine del secolo scorso, ci ritroveremo a parlare attraverso schermi divisori e divisivi dovendo completamente ripensare la realtà che ci circonda alla luce di nuove abitudini che non ci appartengono se non come ulteriore scudo ai nostri timori quotidiani.L’illusione di controllare lo spazio attraverso il tempo si è rivelata quanto mai effimera .Il nostro è un rientro nel mondo nel quale, pur desiderando immaginare i corpi liberi da ogni vincolo prossemico, ci ritroviamo spiazzati e non senza interrogativi, perché il tempo e lo spazio che ora alcune e alcuni di noi cominciano a riabitare rispondono a regole che non conosciamo da vicino. Se la velocità ha sostituito la profondità e la consapevolezza di una crescita lenta ma sostenibile, è forse questo il momento di intervenire per difendere insieme quegli spazi che rischiano di venire snaturati per sempre da fenomeni che , una volta avviati , hanno innescato pericolosi processi irreversibili, rivelatisi inaspettatamenteindipendenti dalla nostra volontà
– E’ infatti in bilico in questo momento la possibilità di ritornare a godere di una contiguità che non può e non deve essere barattata con nessuna forma di protezione condizionata dalle conseguenze di sfruttamenti pregressi del territorio che ci circonda, a scapito di molti per il vantaggio di pochi. Ricucire i margini delle città, in un processo di rigenerazione urbana che unisca il centro e le periferie con una nuova mobilità che investa anche la vita e la realtà di quei giovani di cui si tende a dimenticarsi perché periferici a sconsiderati programmi di sviluppo unidirezionali; occuparsi dei soggetti più fragili e deboli della nostra società da troppo tempo relegati lontano da noi come fantasmi da esorcizzare. Ricominciare ad occuparsi degli ultimi che nonostante la loro invisibilità hanno continuato a popolare le nostre strade in questo periodo, mostrandoci l’altro volto dell’abbondanza .Occuparsi di orti incolti, ovunque siano cresciuti i rami secchi di un’ incuria coltivata con cura.ed eletta quasi ad ancella di uno scellerato modello antropocentrico, e pensare finalmente alla terra come un ecosistema complesso e delicato.
Ridisegnare la città attraverso il suo corpo sociale
Re-immaginare i nostri quartieri è molto più che migliorare la qualità delle singole parti. Abbiamo l’opportunità di basarci strategicamente sui nostri adattamenti comportamentali che tanto hanno influito sulla qualità della vita negli ultimi mesi, quasi riplasmando il nostro corpo sociale, per poterci finalmente allontanare da confini basati sul semplice uso del suolo unidimensionale. Proprio come molti pianificatori hanno riflettuto su come possiamo cambiare nel tempo il nostro pensiero sulla pianificazione dei trasporti, la reimmaginazione dei nostri quartieri ci impone di pensare ben oltre i nostri nuovi comportamenti. Il virus ha rimesso al centro della polis i comportamenti umani immediati, dei corpi degli abitanti che erano stati quasi smaterializzati attraverso incontri e realtà virtuali ed addomesticati con l’induzione a consumi sempre più inutili e prevaricanti i bisogni reali. Il virus si muove invece tra esseri umani e non fra devices. Ridisegnare la città significa quindi riconsiderare i passi, i movimenti, i ritmi, i gesti, le abitudini di un intero corpo sociale e ridefinirne limiti e confini senza snaturarne le aspettative sullo stile di vita dei luoghi in cui si svolge la vita quotidiana.Allo stesso tempo, possiamo rivolgere la nostra attenzione con una nuova consapevolezza, ai centri locali e al modo in cui potrebbero evolversi e crescere trasformando i nodi della comunità, incrementando in un’ottica ecosistemica paesaggi ecologici e percorsi di prossimità, affinché questa volta siano le distanze e le rarefazioni sociali ad essere “smaterializzate”